I rettori:«L’università dà lavoro ma i ragazzi poi devono avere chance anche nelle Marche»

I rettori:«L’università dà lavoro ma i ragazzi poi devono avere chance anche nelle Marche»
I rettori:«L’università dà lavoro ma i ragazzi poi devono avere chance anche nelle Marche»
di Maria Cristina Benedetti
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Sabato 13 Aprile 2024, 04:15 - Ultimo aggiornamento: 15:20

ANCONA Il “qui e ora” non sembra declinarsi sui laureati made in Marche. Il lavoro c’è, ma non fa per loro, a leggere il rapporto Excelsior, secondo cui solo un’assunzione ogni 10 programmate dalle aziende è riservata a chi ha un titolo universitario. Ridimensiona il dato, Gian Luca Gregori, addirittura lo ribalta: «Il numero di coloro che escono dal nostro ateneo è ancora troppo limitato, per alcune competenze non riusciamo a rispondere a tutte le esigenze, e la domanda rimane anche inevasa». Il rettore della Politecnica si affida all'evidenza empirica: «Per Almalaurea, che fotografa lo stato dei nostri campus, il tasso di occupazione è pari al 95,1%, per chi finisce la magistrale». Sulla quota di coloro che restano sul territorio mantiene la giusta distanza: «Dipende dal contesto di riferimento e dalle opportunità che vengono offerte».

La prospettiva

Va fuori tema qui, Gregori, per tornarci da un’altra prospettiva: «Un aspetto rilevante è relativo ai livelli retributivi, che risultano essere, in molti casi, non adeguati.

I laureati della mia generazione non solo riuscivano a mantenersi autonomamente, ma erano in grado di risparmiare per acquistare la casa. Oggi se trovano occupazione in una grande città devono essere supportati dalle famiglie». Rientra nel seminato, ed entro i confini locali: «Ciò induce a riflettere sull’importanza degli aspetti positivi dei territori nei quali viviamo, sottolineando, di nuovo, la necessità di concrete opportunità». Di dritto e di rovescio.

Stringe l’obiettivo sulla finestra temporale, John McCourt. Il magnifico di Macerata coglie i dettagli. «Ad analizzare il monitoraggio mi pare che si tratti di figure stagionali. Ecco il perché di quel 10% appena di dottori.». Va all’origine di quello che ritiene essere il vero campanello d’allarme, da spegnere. Subito. «C’è il fenomeno dei laureati che si trasferiscono nei mega centri urbani È un danno per la regione: se le aziende del territorio vogliono compiere il salto, qualitativo e dimensionale, devono assumere personale altamente qualificato. Soprattutto ora, con l'intelligenza artificiale e l’automazione dei processi, è sempre più necessario avere ragazzi preparati a gestirle. I nostri corsi di laurea spesso sono l’emanazione delle urgenze espresse dal mondo del lavoro». Passa all’esempio sul campo. «Di recente abbiamo attivato Archeologia e sviluppo dei territori, una specializzazione che in un paese impregnato di storia come l’Italia genera zero disoccupati». Va oltre le teorie dell’aula, in tempo reale.

Il monitoraggio

Ribadisce il concetto, Giorgio Calcagnini. «I dati del report riguardano soprattutto la domanda di personale legato a questo periodo dell’anno». Procede per deduzione, il rettore di Urbino: «Quel 10% è conseguenza della stagionalità, la tendenza andrebbe letta sull’anno». Non si fa sorprendere impreparato: «Dalle informazioni di Almalaurea risulta che i nostri studenti trovano occupazione, nel 75% dei casi, al termine della triennale». Sposta il piano di osservazione: «Se i giovani vanno a studiare fuori, poi non tornano. Questo è il vero guaio, dobbiamo rendere l’offerta didattica più attrattiva, trattenere i ragazzi, convincerli a studiare e lavorare qui». Fissa il perimetro di una RegioneLab.

La differenza

Ai numeri ribatte con altre cifre, Graziano Leoni. Il rettore di Camerino punta sull’occupazione in uscita, la piega sul suo ateneo: «Al termine della magistrale il 91% troverà un impiego entro 5 anni, l’81% in uno». Poi fa la differenza: «Sul fronte dell'informatica arriviamo al 100%». Lo ammette: «Molti si muovono. I nostri cervelli vanno fuori, altrove. Nella nostra terra ci sono eccellenze imprenditoriali dell’innovazione. Altre imprese hanno bassa capacità di svilupparla. È in questo punto che si genera il cortocircuito». Salta il “qui e ora”, l’equilibrio tra domanda&offerta.

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