Tumori, relazione medico paziente: a teatro c'è Wit, sulla necessità della condivisione secondo John Donne: “Nessun uomo è un'isola”

di Stefania Piras
Giovedì 25 Aprile 2024, 16:11 - Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 14:19 | 2 Minuti di Lettura

La relazione medico paziente

Vivian Bearing (Valentina Banci) ha 50 anni, è una studiosa esperta dei Sonetti Sacri di John Donne; è una professoressa integerrima, che boccia e pretende dai suoi studenti, ma dopo aver scoperto un cancro alle ovaie al quarto stadio le sue competenze non riescono più a interpretare la realtà, gli strumenti per vivisezionare una poesia non bastano più perchè l'oggetto di studio è diventata lei (“Ora so cosa provano le poesie a essere studiate”). L'insegnante la cui “unica difesa era impadronirsi del lessico” e che non smette mai di guardarsi da fuori diventa la paziente col pigiama che non sa cosa voler sapere dopo la comunicazione della diagnosi (l'esprit des escaliers oncologico sempre in agguato: “Avrei dovuto fare più domande visto che sto per diventare un test sperimentale!”) e desidererebbe tanto aver dato un voto più alto al 28enne Jason Posner, l'oncologo che l'ha in cura e si vanta di aver seguito il suo corso di letteratura del Settecento e John Donne mentre studiava medicina. Posner è interpretato dal 37enne Dario Aita, (scelto da Paolo Sorrentino in Parthenope, è Sergio in Don Matteo e Rosario ne La mafia uccide solo d’estate). Durante lo spettacolo il dottore che esce dalla scena sempre con la stessa raccomandazione (“Continui a urinare”) ricorderà anche i momenti più noiosi di tutto il percorso di formazione medica: i rudimenti della relazione medico-paziente e tutte quelle teorie sull'empatia, buone per i clinici – dice sprezzante – e che non hanno nulla a che vedere con l' affascinante e sfidante ricerca sul cancro (“Cristo, che perdita di tempo!” ma anche e soprattutto “Io salvo la vita alle persone e poi quelle vengono prese sotto dal bus!”). Vivian e il dottor Posner hanno lo stesso sguardo anatomico: lei sulle parole di Donne, lui sul corpo dei propri pazienti; entrambi hanno dedicato la vita allo studio e al lavoro rinunciando a esercitare l'empatia.

«E' come se la studiosa Vivian vivesse liberamente e pienamente solo negli ultimi 10 secondi della sua vita. Non credo che questo voglia dire che si debba arrivare all'esperienza finale per rendersi conto di quello che manca; di certo però il “contropiede” ultimo evidenzia la necessità di cura della relazione con gli altri durante tutto l'arco della propria esistenza», spiega Donati citando “Il canto della durata” di Peter Handke: E qual è la cosa / a cui devo restare fedele? / Essa ti apparirà nell’affetto / per i vivi / – per uno di loro – / e nella consapevolezza di un legame / (anche soltanto illusorio).

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