Il leader di Confindustria, Pierluigi Bocchini: «Niente sciagure ma dinamiche finanziarie»

Il leader di Confindustria, Pierluigi Bocchini: «Niente sciagure ma dinamiche finanziarie»
Il leader di Confindustria, Pierluigi Bocchini: «Niente sciagure ma dinamiche finanziarie»
di Maria Cristina Benedetti
3 Minuti di Lettura
Lunedì 15 Aprile 2024, 05:10 - Ultimo aggiornamento: 16 Aprile, 06:54

Nessuna sciagura, bensì consuete dinamiche finanziarie. Pierluigi Bocchini cambia il verso della narrazione al capitolo “le Marche in vendita”. «Innanzitutto una premessa: ci sono imprese, come la mia, l’Ariston Group e altre ancora, che, a loro volta, acquisiscono società internazionali». Il presidente di Confindustria Ancona e della Clabo, leader mondiale delle vetrine espositive professionali, neutralizza gli elementi critici: «Niente sventure, tutt’altro».

Definisca i contorni della sua visione scevra da picchi di puro pessimismo.

«I passaggi di mano, le cessioni a realtà di fuori regione, nazionali o estere, suggeriscono una lettura favorevole: i nostri marchi sono attrattivi, appetibili, la nostra manodopera è forte. Dovremmo essere orgogliosi, non preoccupati».

Il rovescio della medaglia potrebbe mostrare crepe e macerie: la perdita del controllo determina una minore attenzione verso il territorio e lo spostamento delle funzioni e dell’occupazione di più alto livello?

«No. Ha mai visto un investitore che getta via il proprio denaro per svilire un brand che paga, e il luogo dove questo prospera? Sarebbe una mossa irrazionale».

La Whirlpool ha comprato la Indesit e ora la cede ai turchi. È una ferita aperta sulla pelle viva, che contraddice la sua tesi tarata sul massimo della positività.

«Il colosso statunitense dell’elettrodomestico non lascia Fabriano, le Marche, l’Italia. Se ne va dall’Europa. In questo caso è un problema di comparto che non è più competitivo. Negli anni Ottanta, lungo tutta la Penisola, si contavano una quindicina di imprese dedicate al settore, ora ne sono rimaste due a proprietà italiana e una è nostra: la Elica».

Cambio del piano sequenza. Possiamo legare il fenomeno della cessione delle eccellenze locali alle difficoltà di accesso al credito, argomento che venerdì, come Confindustria, affronterete al Teatro Pergolesi di Jesi ?

«No, lo ritengo un fuori-tema».

Allora innalzi le sponde entro le quali far rientrare il ragionamento.

«Partiamo dal presupposto che, per dare linfa allo sviluppo, ci vogliono le idee e queste devono essere sostenute economicamente.

Per farlo ci sono tre strade percorribili».

Faccia l’apripista.

«La prima è quella del credito tradizionale, che reputo sia più adatto a sostenere le spese correnti. In alternativa, si può ricorrere alle emissioni di obbligazioni, ai bond. Un percorso, per reperire liquidità, che riguarda compagnie più strutturate, le quali devono saper produrre e comunicare le informazioni sulla loro gestione».

La terza via?

«L’apertura del capitale a terzi: la quotazione o i fondi di private equity, rilevano parte del capitale di chi ha bisogno di credito ma che non può andare a debito».

Un cammino, questo, che spesso conduce alla vendita? La trasmigrazione de iGuzzini nella galassia svedese di Fagerhult è avvenuta entro quel perimetro d’azione.

«La vicenda del gruppo di Recanati rientra nelle probabilità. Il caso-scuola è la Moncler che ha usato la pratica del fondo come fosse un taxi, sul quale salire e scendere: ha fatto entrare nella sua compagine il primo, che poi ha venduto al secondo e quindi al terzo. Ora è una griffe del lusso, quotata in Borsa, e nel 2023 ha sfiorato i tre miliardi di fatturato».

Strategia impeccabile.

«Gli investitori di private equity hanno tutto l’interesse affinché l’azienda nella quale penetrano sia prospera. Certo, le Marche che valgono il 3% del Pil, il Prodotto interno lordo, e della popolazione nazionale sono più esposte alle acquisizioni, che talvolta possono essere addirittura auspicabili. Per esempio, quando il mancato passaggio generazionale comprometterebbe il futuro di una impresa».

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