Un tesoro della nostra regione è esposto in questi giorni a Firenze. Si tratta del Reliquiario di Montalto delle Marche in mostra al Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, in via degli Alfani, fino al 4 maggio. L’Opificio si trova a pochi passi dalla Galleria dell’Accademia, un concentrato di capolavori di Michelangelo, tra cui il celeberrimo David. Sbagliare ingresso è impossibile perchè all’Accademia la fila delle persone in attesa è lunghissima, mentre per entrare all’Opificio non si perde tempo. Nella seconda sala a sinistra, sorvegliato da diversi addetti e protetto da una teca di cristallo spesso diversi centimetri, si trova il reliquiario che tutto il mondo ci invidia.
Le pietre
Oggetto delicatissimo, tant’è che a Montalto veniva esposto solo una volta all’anno, il terzo giorno prima della Pentecoste, il reliquiario risplende per la straordinaria raffinatezza e la preziosità dei materiali. Realizzato in oro (smaltato en ronde-bosse, tecnica in cui lo smalto viene applicato su superfici a tutto tondo o in alto rilievo) e in argento (sbalzato, inciso, smaltato e in parte dorato ad amalgama di mercurio), vede le scene legate alla passione di Cristo arricchite da 19 zaffiri, 20 spinelli, 59 perle e un raffinato cammeo in sardonice di manifattura bizantina. Le perle hanno colori che vanno dal bianco al bianco-grigio, bianco-rosa, bianco-verde fino al crema. Alcuni zaffiri si presentano come cristalli arrotondati, semplicemente lucidati e forati. Per gli zaffiri e gli spinelli è possibile ipotizzare la provenienza dallo Sri Lanka, i cui giacimenti erano già noti nell’antichità come testimoniato da Plinio il Vecchio nella “Storia naturale”.
La storia
Pochi lavori di oreficeria possono vantare una storia tanto documentata e di alto profilo: la parte più antica dell’opera, in forma di tavoletta, era appesa nella cappella del Louvre stando all’inventario del tesoro di Carlo V di Francia (1338-1380), cui va attribuita la commissione dei magnifici smalti a tutto tondo su oro eseguiti forse da Jean du Vivier, orafo di corte.
Nel 1586 Sisto V preleva il prezioso oggetto e lo dona alla cittadina di Montalto delle Marche, dove aveva avuto inizio la sua vita di uomo di chiesa.
La curiosità
Agli angoli superiori della tavola sono posti due angeli in argento dorato. I volti e le mani sono stati risparmiati dalla doratura per essere dipinti a tempera direttamente sul metallo secondo una tecnica riscontrata in altre opere della fine del XIV secolo. In fase di restauro, le rotture dello smalto sulle mani incrociate di Cristo hanno consentito di osservare il trattamento della lamina d’oro sottostante, che è stata resa ruvida per favorire l’adesione dello smalto.