Massimo Wertmüller racconta la zia, non solo regista ma anche autrice musicale: «Lina, jazz e boogie woogie»

Massimo Wertmüller racconta la zia, non solo regista ma anche autrice musicale: «Lina, jazz e boogie woogie»
Massimo Wertmüller racconta la zia, non solo regista ma anche autrice musicale: «Lina, jazz e boogie woogie»
di Chiara Morini
3 Minuti di Lettura
Domenica 24 Marzo 2024, 04:00 - Ultimo aggiornamento: 15:45

Sarà una Lina Wertmüller forse meno conosciuta dal pubblico quella che il nipote Massimo, con Nicoletta Della Corte, racconteranno martedì 26 marzo, alle ore 20,45, al teatro Concordia di San Benedetto del Tronto. “Lina’s Rhapsody. Avventure e canzoni di Lina Wertmüller”, questo il titolo dello spettacolo, nasce da un’idea di Valerio Ruiz che l’ha anche scritto.

Massimo Wertmüller, che Lina raccontate nello spettacolo?

«Faremo conoscere la parte del suo lavoro meno conosciuta, quella di autrice musicale. Lei ha lavorato con grandi musicisti, ha collaborato con il produttore Lilli Greco, con Morricone, con Rota. Lina ne sapeva molto in fatto di musica».

Che musica le piaceva ascoltare?

«Qui entriamo in un campo poco definibile. Lina ascoltava musica a 360 gradi, ma volendo cercare un genere, potrei nominare il jazz, che ascoltava anche mio padre, suo fratello. Lei con Corbucci ha partecipato a gare di boogie woogie, volteggiava in giravolte. Lo swing nello specifico è stata la prima impronta musicale, poi ha preso altre strade. Anche nei film più recenti si sente la milonga, Paolo Conte amava questo genere, anche Enzo Jannacci, con cui pure ha lavorato».

È vero che non voleva che la chiamasse zia? Perchè?

«Sì, è vero, ma devo dire che non l’ho mai capito. Io vedevo semplicemente che lei bonariamente diceva “non chiamarmi zia”. E io non lo facevo. Il mio pensiero può solo immaginare che potesse essere un po’ borghese se lo avessi fatto. Proprio non saprei, ma vedevo con simpatia questo fatto».

Che zia era?

«Forse fin troppo presente.

Dico questo perché a volte non si capisce subito, quando si è giovani, il messaggio che vuole darti. Sono pochi quelli che nascono con determinati geni, anche io avrei voluto avere quello della sua figura con gli occhiali bianchi. Lina diceva sempre una frase, “tu vuoi essere la leva della vita o un ingranaggio della vita?”. Il significato l’ho capito dopo, ho fatto qualche errore su me stesso, ma sono stato fortunato a poterla vedere all’opera, mi ha lasciato disciplina, passione e professionalità».

Al cinema ha debuttato con sua zia Lina alla regia, com’è stato?

«Da una parte era un po’ antipatica, dall’altra però si metteva la maschera, mi ha insegnato molto».

A parte zia Lina Wertmüller, quale o quali registi le hanno lasciato di più?

«Gigi Magni per me è stato un secondo padre, Gigi Proietti un fratello maggiore, c’è stato anche Antonello Falqui. Sono stati questi i tre che mi hanno dato più di tutti. Ho avuto la fortuna di frequentare dei grandi».

Di Proietti che ricordi ha?

«Lui, con cui mi sono formato, non aveva sovrastrutture mentali, era umile, l’ho chiamato fratello maggiore perché era un amico. Come stava in scena lui non c’era nessuno. Gli ho rubato molto, in termini di segreti, lui era generoso, viveva con il sorriso, non rinunciava mai alla parte emotiva della carriera, verso il pubblico».

Mancano figure come Proietti?

«Mancano perché non ci sono più. Gigi è stato un grande maestro. A volte appare anche Cacciari, ma sono rari gli intellettuali. Il mondo peggiora molto anche sul modo di pensare e curare gli animali, un tema che mi sta molto a cuore».

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