Infarto, la cura con i beta bloccanti: il nuovo studio su rischi e benefici

Questi farmaci sono tra i più utilizzati nella terapia delle malattie cardiache ed in particolare in quelle coronariche e nel post infarto

Cure anti-infarto, il nuovo studio su rischi e benefici dei beta bloccanti
Cure anti-infarto, il nuovo studio su rischi e benefici dei beta bloccanti
di Antonio G.Rebuzzi*
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 06:56
I beta bloccanti sono farmaci che agiscono bloccando i recettori beta adrenergici del cuore riducendo il lavoro cardiaco e quindi migliorandone il compenso e la sopravvivenza. Per questo, ormai da molti anni, questi farmaci sono tra i più utilizzati nella terapia delle malattie cardiache ed in particolare in quelle coronariche e nel post infarto. Tutte le linee guida sulla terapia di questa patologia, infatti, prevedono obbligatoriamente l'utilizzo dei beta bloccanti come pilastro per migliorare la sopravvivenza e ridurre la probabilità di recidiva dell'infarto.

L'EQUIPE

In uno studio presentato all'ultimo Congresso dell'American College of Cardiology ed appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, T. Yndigegn ed i partecipanti al trial REDUCE-AMI, coordinato dal Karolinska Institute di Stoccolma, mette in discussione proprio il beneficio dei beta bloccanti nel prevenire un secondo attacco di cuore o nel ridurre la mortalità nei pazienti in cui l'infarto miocardico è stato curato in tempi brevi e quindi il danno cardiaco non è stato importante.

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I CASI

Sono stati studiati oltre 5000 pazienti arruolati tra il primo ed il settimo giorno dopo un infarto miocardico acuto e che avevano una coronarografia positiva per stenosi coronarica, ma in cui la contrattilità del muscolo cardiaco (valutata ecocardiograficamente) era normale o comunque ridotta in maniera non grave.
In metà circa dei pazienti è stata fatta una terapia comprendente (come da linee guida dell'infarto) l'utilizzo di beta bloccanti.

Nell'altro gruppo si è invece prescritta una terapia senza l'utilizzo di questi farmaci. Dopo un periodo di follow-up di circa tre anni e mezzo si è valutata, in entrambi i gruppi, l'incidenza di decessi, di recidiva di infarto miocardico ed inoltre il numero di ospedalizzazioni per fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, ictus o di interventi per impianto di pace maker. Il risultato è che non vi era alcuna differenza significativa tra i due gruppi per alcuna delle variabili considerate.

In compenso non vi era alcuna differenza neppure per le reazioni avverse talora provocate dai beta bloccanti, quali ad esempio la bradicardia, l'asma o altro. Questo studio, che viene dopo altri studi più piccoli ma che hanno ottenuto risultati simili, chiarisce in maniera evidente che nei pazienti con recente infarto miocardico che però non ha ridotto in modo grave la contrattilità del muscolo cardiaco, un trattamento di routine con alcuni farmaci quali i beta bloccanti non è assolutamente utile, anzi talora rischia di provocare spiacevoli effetti collaterali.

LA ROUTINE

Questo ci porta, una volta di più, alla necessità di calibrare la terapia sulle reali necessità del singolo paziente. No alla routine. Non è infatti pensabile che tutti i pazienti che hanno avuto un infarto siano trattati allo stesso modo quale che sia il danno provocato, gli stessi farmaci sono superflui e non vanno prescritti.

* Professore di Cardiologia Università Cattolica, Roma

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