Terremoto, il sismologo Tondi:
«Non sono da escludere forti scosse»

Neve e terremoto ad Acquasanta. Nel riquadro Emanuele Tondi
Neve e terremoto ad Acquasanta. Nel riquadro Emanuele Tondi
di Maria Cristina Benedetti
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Venerdì 20 Gennaio 2017, 10:05 - Ultimo aggiornamento: 21 Gennaio, 10:48

ANCONA - Prevenire si può, proteggere si deve. Emanuele Tondi, geologo e responsabile della Sezione di Geologia della Scuola di Scienze e Tecnologie dell’Università di Camerino, scansa l’idea del terremoto-mostro, che arriva inaspettato dalle viscere della terra. 
 



Professore facile a dirsi, più complicato fare i conti con questa interminabile serie di scosse. 
«L’importante è sapere, per esempio, dove un evento sismico potrà avvenire. Perché un punto è incontrovertibile: si può convivere con la pericolosità sismica, ma non con il rischio».

In una graduatoria della minaccia che incombe, dove piazza le Marche?
«Nella zona medio alta, ma l’area costiera - in particolare a sud di Ancona - è quella meno esposta. Fissato il livello d’allarme, il passaggio successivo appare scontato. Nel nostro territorio va sempre verificata la vulnerabilità sismica degli edifici: se sono a norma non c’è nulla da temere; in caso contrario è necessario prendere provvedimenti. Subito».

Anche in questo caso, prof, sembra più facile a dirsi.
«È necessario partire da un dato certo: le faglie attive e sismogeniche più grandi - ovvero quelle che generano terremoti importanti - sono note, mappate, come è conosciuta la magnitudo massima attesa».

Della serie: è sempre possibile sapere dove avverranno i prossimi sconquassi? 
«C’è un altro elemento che perfeziona il tasso di consapevolezza: le faglie interagiscono tra loro, nel senso che quando se ne attiva una genera una zona d’instabilità e se in quest’area ne è presente un’altra ancora questa ha un’alta probabilità di innescarsi».

La drammatica cronaca di queste ore è la prova sul campo delle sue affermazioni. 
«Esatto. Dopo i terremoti di ottobre, l’area di Montereale e Capitignano, epicentro abruzzese di questo ennesimo terrore, era ad altissimo rischio. Rappresentava un gap sismico nell’Appennino centrale, insidiato da due grandi faglie: a nord quella dei monti Vettore-Bove; a sud quella del monte Gorzano».

Insiste: prevenire si può.
«Nessuna teoria, fatti: i sussulti di questi giorni sono stati generati dalla parte meridionale, finora rimasta silente, della faglia del Gorzano le cui dimensioni sono simili a quella del Vettore, quindi non sono da escludere altre scosse più forti nel futuro».

Prossimo quanto? 
«Questo non è possibile saperlo: sono molte, troppe, le variabili che entrano in campo. Conoscere dove, tuttavia, è essenziale per concentrare le attività di Protezione civile e per orientare le risorse della prevenzione». 

Perché proteggere si deve. 
«Certo, nelle zone ad allarme rosso si deve abitare solo in edifici a norma; nelle aree già colpite dal sisma si deve stare alla larga da quelli danneggiati o a pericolo crollo».

Detto da lei che affianca alla cattedra la poltrona da sindaco di Camporotondo di Fiastrone - al centro del cratere - il concetto vale doppio.
«Nel nostro Paese i problemi si sommano: scarsissima cultura della prevenzione e macchina dell’emergenza in affanno». 

E per di più siamo alle prese con una delle più importanti crisi sismiche mai avvenute nelle nostre zone. 
«Anche qui vorrei correggere il tiro. La stessa emergenza s’era verificata intorno al 1350 e poi nel 1700, con un periodo di ritorno di circa 350 anni. Riconoscendo tale ciclicità, ecco che l’eccezionalità si ridimensiona».

La lezione della storia? 
«Ribadisco: si può convivere con la pericolosità sismica, ma non con il rischio».

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